La Provincia di Benevento si estende nell’entroterra nord-orientale della Campania con una superficie di circa 2.000 kmq, corrispondente al 15% dell’intero territorio regionale. Un’area prevalentemente montuosa (il 55% è prettamente montuosa il restante 45% è collinare) ed è proprio la particolare morfologia del territorio che determina la forte mobilità della popolazione. La densità demografica media è 138,12 abitanti per kmq, dato inferiore alla media nazionale, ma superiore a quella del Mezzogiorno.
Le dinamiche economiche della Provincia di Benevento hanno mostrato un’interessante ripresa in termini di crescita del Pil, negli ultimi sette anni con un tasso medio annuo del +4,1% con una punta nel 2002 rispetto all’anno precedente del +8,2%. Questa crescita è riconducibile alla dinamicità del comparto servizi (+9,9%); mentre la crescita dell’agricoltura si è attestata intorno a +1,1% e l’industria non supera il +5%. Il settore primario nella Provincia di Benevento ha ridotto lievemente il proprio peso nella formazione del Pil anche se occupa i primi posti nella graduatoria nazionale. Comunque la crescita complessiva del valore aggiunto è sostenuta da un sistema imprenditoriale che si sviluppa in termini di numerosità a partire dal 1998.
Il Contesto Socio-Economico
La popolazione attiva provinciale nel 2018 ha raggiunto la quota di 235.000 unità con un incremento di oltre 3.000 sul 2018. Gli occupati nello stesso anno sono stati 102.000 con un incremento di circa 1.000 rispetto al 2017. Sempre nel 2018 l’occupazione complessiva sulla forza lavoro, pari al 89,5 % si avvicina al dato nazionale (91,3%) e supera il dato regionale che è del 79,8%.
La domanda di lavoro attivata dalla struttura produttiva provinciale ha registrato negli anni 2003 – 2018 un incremento del 2,3%. Questa crescita ha trovato un terreno fertile nella dinamica espansiva dei servizi, la cui variazione ha compensato il decremento occupazionale dell’agricoltura. Gli occupati nell’agricoltura (2017) erano il 18,9 % della forza lavoro dell’intera provincia; dato quest’ultimo indice di un significativo cambiamento: la quota occupazionale afferente all’Agricoltura è passata dal 28,6 % nel 2003 al 18,9 % nel 2017 (-32,3 % nell’arco temporale di riferimento).
A fronte di questo vistoso calo c’è da rilevare un notevole aumento della produttività per addetto: nel 2016 gli occupati nell’agricoltura erano 23.000 e avevano prodotto 270 milioni di euro contro i 280,7 milioni di euro prodotti nel 2017 da 18.000 unità. Il calo è dovuto soprattutto alla forte contrazione della produzione del tabacco costringendo gli agricoltori, nel decennio di riferimento, a diversificare la produzione: per questo motivo il primato produttivo agricolo della provincia beneventana passa dalla produzione del tabacco a quella vitivinicola.
Per i due settori oggetto di indagine, cioè quello vitivinicolo e quello olivicolo, risulta difficile reperire dati specifici riguardo all’occupazione, in quanto le aziende agricole beneventane concentrano più colture nella propria produzione, rendendo difficoltoso il rilevamento di specifiche qualifiche inerenti ai due settori. Inoltre tali aziende, nella maggior parte dei casi, sono di piccole dimensioni; è lo stesso imprenditore a svolgere il lavoro manuale, solo nei periodi di maggior fabbisogno occupazionale (vendemmia e raccolta olive), l’imprenditore si avvale di manodopera “esterna” ricercandola prima nell’ambito familiare poi nell’ambito locale, rivolgendosi ai Centri per l’Impiego solo per la comunicazione di avvenuta assunzione stagionale.
La Provincia di Benevento è caratterizzata oltre che dal capoluogo di provincia Benevento, da altri 77 comuni, in gran parte piccoli comuni collinari o montani, con scarsa densità abitativa, interessati da un massiccio esodo migratorio avviatosi a partire dagli anni del Secondo Dopoguerra. L’area appartiene all’antica regione del Sannio, un territorio che copriva la zona appenninica fra l’Abruzzo, il Molise, la Campania, la Lucania e la Puglia. Abitato dal popolo dei Sanniti tra il VII sec. a.C. e i primi secoli del I millennio d.C.. Il Sannio svolgeva una funzione di comunicazione e di scambio legata principalmente all’economia della “Transumanza”, la più redditizia del Centro-Meridione d’Italia dal periodo Aragonese (sec. XV) al 1806, anno in cui il governo francese abolì il sistema governato dalla Regia Dogana della Mena delle Pecore.
A partire dal XIX secolo si è dunque modificato il sistema di comunicazione e di infrastrutture su cui si era basata per lungo tempo l’economia del territorio, con gravi conseguenze per il tessuto economico e la struttura insediativa, che hanno faticato a identificare delle funzioni in grado di contrastare un lungo ed inesorabile processo di esodo insediativo. Dell’antica regione della Transumanza restano oggi poche tracce sostanzialmente rinvenibili in ruderi di antiche taverne, mulini o piccoli tratti della rete dei cosiddetti tratturi e tratturelli, in molti casi metafora dello stato dell’economia e della vitalità della rete dei piccoli comuni che insistono su questo territorio.
Le aree interne sono espressione di uno squilibrio nello squilibrio e rappresentano quello che viene definito l’”osso” dell’economia dell’Appennino Centro-Meridionale, contrapposto alla “polpa” delle aree costiere, ricche di risorse e opportunità economiche. Di questa metafora dell’osso e della polpa, identificata alla fine degli anni Cinquanta da Rossi-Doria, la Campania rappresenta un caso emblematico.
L’agricoltura e la cultura contadina sono ancora oggi molto radicate in questa area marginale della Campania, ed è proprio da qui che occorre partire per un rilancio socio-economico, in modo da favorire anche processi volti a preservare e recuperare la qualità del suolo, in molti casi soggetta a fenomeni di degrado molto preoccupanti. C’è da evidenziare che la provincia di Benevento appartiene ad una regione complessa e vasta come la Campania, che ha fatto sì che i territori interni, come questo appunto, subissero la competizione di aree più produttive e ad elevato potenziale di sviluppo, localizzate principalmente verso la costa, facendo sì che queste aree venissero maggiormente “trascurate” nelle politiche di sviluppo regionale.
In base ai criteri di classificazione dell’ISTAT sul grado di “montanità”, è possibile evidenziare come l’area interessata presenti i tipici caratteri antropici e socio-economici di un territorio prevalentemente montano, sebbene registri quote massime di pochissimo superiori ai mille metri, si caratterizza per alcuni caratteri socio-economici tipici delle aree a carattere montano tra cui: forti esodi demografici e popolazione ad elevata senilità, elevata frammentazione degli elementi insediativi, marginalità economica, basso livello di educazione e in alcuni casi elevata incidenza di analfabetismo. Per effetto della presenza della barriera Appenninica e Sub-Appenninica, il clima è tipicamente sub-continentale, con inverni freddi e piovosi ed estati miti. Rilevante durante tutto il corso dell’anno è l’elevato grado di umidità relativa. Caratteristica climatica dell’area in questione è poi la forte ventosità, presente in ogni periodo dell’anno, che spesso crea problemi nell’attività agricola, ma che rappresenta un presupposto importante per lo sviluppo del settore dell’energia eolica, che negli ultimi anni ha contribuito a caratterizzare il paesaggio di questi territori.
Dal punto di vista geomorfologico l’area è caratterizzata da una serie di formazioni litologicamente eterogenee, di natura “flyschoide”, in cui a terreni con una certa rigidità si intercalano sedimenti plastici a componente argillosa e marnosa. Tale associazione dà luogo ad una morfologia collinare irregolare, con estensioni di pendii detritici e accentuati fenomeni franosi. La dimora rurale dell’area interessata presenta i caratteri della tipizzazione collinare, caratterizzata dalla presenza di edifici rurali sparsi per lo più di piccole e medie dimensioni a servizio di un solo nucleo familiare, che vengono connotati con il nome di “masserie”.
La società di stampo feudale aveva il proprio centro produttivo proprio in corrispondenza di tali strutture rurali, il cui nome deriva etimologicamente dalle “massae” tardo romane, ossia i singoli lotti, affidati in gestione ai “massari”, in cui andavano scomponendosi i grandi complessi latifondistici. Dai Normanni, agli Svevi, agli Angioini, agli Aragonesi, e successivamente ai Borbone, tutti hanno fondato l’articolazione e l’amministrazione del proprio territorio su questi microcosmi produttivi. La struttura della popolazione dell’area presenta delle peculiarità che sono conseguenza della caratterizzazione geografica di questo territorio, che si presenta per la maggior parte collinare e montuoso, piuttosto ostile agli insediamenti umani, allo sviluppo di attività produttive e delle vie di comunicazione.
Il territorio è caratterizzato da densità abitative relativamente basse, specialmente se confrontate con altre aree della regione. Il fenomeno delle migrazioni in quest’area ha avuto origine già alla fine dell’Ottocento, quando la pressione demografica anche delle aree collinari e montuose è diventata eccessiva e il graduale impoverimento delle terre e del mantello boschivo compensava sempre peggio le fatiche dei contadini. Le aree pianeggianti erano ancora inospitali e acquitrinose e le prospettive di trovare lavoro in Italia e altri paesi europei non erano rosee. Allora i paesi d’oltremare, aperti al popolamento e alla colonizzazione, sono stati per essi i centri d’attrazione. Le migrazioni transoceaniche hanno avuto inizio dalla seconda metà dell’Ottocento ed hanno avuto un picco nel primo decennio del XX secolo, per subire poi una brusca frenata a causa dello scoppio della guerra. I flussi transoceanici sono poi sostanzialmente cessati con la Seconda Guerra Mondiale, per avere poi una lieve ripresa negli anni successivi. Le mete principali erano Stati Uniti, Canada, Venezuela e Argentina. A partire dal Secondo Dopoguerra l’area è stata poi interessata da un continuo ed inesorabile flusso migratorio che ha invece visto come mete principali l’Italia del Nord e il resto d’Europa e che ha causato un intenso processo di spopolamento che, purtroppo, non sembra mostrare nell’ultima decade segni di inversione di tendenza.
Il processo di spopolamento ha determinato anche un progressivo invecchiamento della popolazione. L’indice di vecchiaia dell’area è pari a 174, molto elevato se confrontato sia col dato regionale (96,5) che con quello nazionale (144). Il progressivo invecchiamento demografico ha chiaramente un impatto negativo sulle prospettive di sviluppo, poiché riduce la forza lavoro minando la creatività e la produttività del capitale umano. Quest’ultimo aspetto è poi strettamente legato anche alla qualità delle risorse umane presenti sul territorio. Il livello di istruzione, in particolare, è uno dei fattori cruciali nel determinare il livello di competitività di un territorio, oltre alla maggiore o minore facilità di accesso all’occupazione.
Dall’analisi della composizione percentuale della popolazione per titolo di studio viene purtroppo confermato un basso livello di formazione e, soprattutto, un’incidenza molto elevata di popolazione cosiddetta “alfabeta senza titoli”, conseguenza diretta della descritta dinamica della popolazione e dell’elevata incidenza delle classi di età avanzate. L’occupazione assorbe principalmente settori di attività tradizionali e poco avanzati, come emerge dal dato sull’occupazione di imprenditori e liberi professionisti sul totale occupati (5,2 per l’area interessata, contro 7,4 in Campania e in Italia) e anche dal dato sull’occupazione nel terziario avanzato sul totale occupati (4,2 contro 8 in Campania e 9,8 in Italia).
In sintesi, con riguardo alla popolazione, si evidenzia in primo luogo un forte calo demografico, in termini sia assoluti che percentuali, secondariamente un basso grado di istruzione, per lo più imputabile alle fasce di età più avanzate, riguardante sia l’alfabetizzazione che il conseguimento dei vari titoli di studio; un elevato indice di dipendenza ed infine percentuali assai elevate di popolazione tuttora economicamente afferente al settore agricolo, cui viceversa fanno riscontro aliquote piuttosto contenute di addetti alle attività secondarie e terziarie. Un tale contesto demografico evidenzia purtroppo una decadenza del capitale sociale sino a delineare, in una visione più pessimistica, veri e propri scenari di desertificazione sociale.
L’Agricoltura
Sebbene presenti problemi strutturali, l’agricoltura rappresenta un settore che svolge per l’intera provincia un ruolo di presidio ambientale, sociale e culturale che va salvaguardato; essa è parte integrante della storia di quest’area e, ancora oggi, la cultura contadina rappresenta uno dei caratteri dominanti. Il paesaggio agricolo si caratterizza per la presenza di aree collinari coltivate prevalentemente a seminativo non irrigato, marginate da fasce boscose caratterizzate da una rete viaria secondaria connessa a quella principale e dalla presenza di case e nuclei rurali. Da un’analisi sui dati relativi alla composizione strutturale delle aziende agricole, emerge un modello di agricoltura poco intensivo e con redditività inferiore ai 5.000 euro per ettaro (fonte: PSR Campania 2007-2013).
Gran parte del territorio della provincia, come abbiamo già accennato, appartiene alla zona definita negli anni Cinquanta dal Rossi-Doria ad agricoltura estensiva, contrapposta alle altre due zone agricole della Campania: la prima, denominata zona attiva, costituita dalla fascia pianeggiante delimitata dai primi rilievi appenninici e la seconda, denominata intermedia, estesa tra il Preappennino, il Matese e l’Appennino Sannita, incluse le valli e le conche interne. La terza zona, entro cui ricade appunto il territorio interessato, è definita estensiva ed è costituita dalle parti più interne e comprende il Matese, l’Appennino Sannita e le Montagne del Cilento.
A conferma di questo carattere estensivo, la superficie totale media delle aziende agricole è di 7,5 ettari, e la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) è di 6,5 ettari, maggiore della media regionale (2,4 ha). Ne consegue che il numero di aziende per chilometro quadrato (10) è più basso sia del valore medio regionale (18,3) che della media dei comuni delle comunità montane campane (15,8). Inoltre, per completare il quadro del modello aziendale, va specificato che a prevalere è la conduzione diretta del coltivatore, con l’ausilio della sola manodopera familiare. I terreni sono utilizzati per la maggior parte nella coltivazione dei seminativi (per il 76,9%), e in misura assai minore da colture permanenti (4,5%), prati e pascoli (5,2%) e boschi (7,8%).
I prodotti del settore primario sono principalmente destinati al mercato locale e all’autoconsumo e, per quanto concerne i cereali, buona parte di tale produzione viene venduta a industrie alimentari italiane, oppure utilizzata per l’alimentazione del bestiame. Le farine prodotte, invece, vengono per lo più acquistate da panifici e biscottifici locali, mentre solo una parte è destinata alla vendita diretta. Per quanto concerne la zootecnia va detto che tale attività è svolta da molte aziende agricole, in particolare quelle di dimensioni maggiori. Nella provincia di Benevento in particolare l’Alto Tammaro, rappresenta la zona a maggiore vocazione zootecnica, con il 37% degli allevamenti bovini e il 42% di ovicaprini rispetto al totale provinciale. Meno rilevante è invece l’allevamento di suini. Molto spesso le stesse aziende provvedono alla produzione di specie vegetali necessarie all’alimentazione del bestiame, soprattutto per quanto riguarda il foraggio. Per quanto concerne gli allevamenti bovini, va detto che il territorio si contraddistingue per il “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale”, che ha ricevuto il riconoscimento IGP. Nel complesso si può dunque affermare che l’attività agricola ricopre un ruolo fondamentale.
Si tratta di un’agricoltura non intensiva e si caratterizza per una elevata specializzazione nella coltivazione dei cereali e dell’allevamento bovino. Anche il territorio provinciale si caratterizza per l’esistenza di squilibri al proprio interno, evidenti ad esempio nei divari non trascurabili della ricchezza mediamente disponibile per abitante, con situazioni di “disagio sociale” concentrate, ancora una volta, nelle aree più dell’Appennino Sannitico-Campano.
L’Economia nel suo insieme
Il dettaglio della scomposizione settoriale pone in luce il fatto che, nonostante il peso significativo del settore primario sul totale del valore aggiunto provinciale, l’economia beneventana è nel complesso piuttosto terziarizzata (il valore aggiunto dei servizi copre il 73,1% della ricchezza totale a fronte del 71% nazionale). Prendendo le mosse da questi dati, risulta evidente come nel processo di terziarizzazione dell’economia locale risultino importanti le attività di servizio alla persona a modesta competitività, indicative, nel processo di sviluppo, non tanto di un’evoluzione tipica di un’economia post-industriale, quanto piuttosto di un’economia a scarsa industrializzazione, dove è significativa la dipendenza delle politiche redistributive dello Stato. Nel complesso, quindi, si può dire che, oltre alle attività agricole, i settori più importanti nell’economia locale sono, nell’ordine: il Terziario (nella sua forma meno evoluta) e, in ultima istanza, il Secondario. Nei piccoli comuni montani e pre-montani della provincia si osserva una assai ridotta offerta di servizi alle imprese ed alle persone, condizioni, queste, che hanno contribuito ad alimentare l’esodo della componente più attiva della popolazione. Purtroppo il processo di spopolamento ha ulteriormente alimentato questo circolo vizioso per cui si è verificata una perdita progressiva, da parte dei Comuni di maggiori dimensioni, del ruolo di poli di aggregazione potenzialmente idonei a guidare processi autopropulsivi di sviluppo.